Friends, ovvero la quadratura del cerchio.

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6 amici, 1 divano, 1 caffè. Mai plot poteva considerarsi più banale. E invece, quella che iniziò vent’anni fa e che nemmeno venne accolta tanto bene dalla critica, era destinata a diventare la Sit-com per eccellenza della storia televisiva, il modello da imitare ma impossibile da raggiungere per successo e fidelizzazione di pubblico.

Nei suoi dieci anni di messa in onda e con i suoi 236 episodi Friends ha scandito e rallegrato i miei anni del liceo e dell’università. Trasmesso sempre in Italia con qualche anno di ritardo rispetto alla programmazione americana, ha fatto sì che fossi abbastanza giovane per venir formata con una mentalità cosmopolita e abbastanza grande da capire la maggior parte dei doppi sensi delle sue battute.

La messa in onda in Italia dell’ultimo episodio è stata contemporanea ai miei ultimi giorni di vita da studentessa a Roma nel 2005, prima che tornassi a vivere a Cagliari per la nascita di mia figlia Sofia. Come a dire, parafrasando una famosa battuta della serie “La fine di un’epoca”.

E proprio quest’estate quando avevo appena iniziato a rivedere tutti i 10 cofanetti di DVD ho scoperto di essere incinta per la seconda volta. Come a dire, la quadratura del cerchio.

Ma, a parte le coincidenze cronologiche e il mio legame sentimentale con il telefilm, ovviamente ho anche qualcosa da scrivere sul perché Friends sia diventato un mito d’oggi (o quasi di ieri).

Punto 1. Ci ha regalato una descrizione generazionale universale. Tolti i pantaloni a vita alta di Monica, i camicioni a quadri di Joey e il cercapersone di Ross, ansie, aspettative, problemi e speranze dei 6 ragazzi del Village sono le stesse di ogni ventenne occidentale: il lavoro, l’amore, la casa, gli amici. Senza troppi giri di parole e senza fare sociologia o psicologia spicciola, la serie ha fotografato la vita di un gruppo di venticinquenni e la loro crescita verso il mondo degli adulti con freschezza e ironia, senza mai cadere nel volgare e affrontando in modo leggero ma non superficiale temi più o meno scottanti. Il che ci porta direttamente al…

Punto 2. Ci ha permesso di vedere come quotidiane e più vicine di quanto potessimo immaginare, situazioni che all’epoca (sicuramente in Italia, forse un po’ meno in America) erano considerate scomode per una serie televisiva di main stream  ( o quanto meno difficili da trovare in una sitcom che andava in onda alle 8 di sera): matrimoni tra due donne, uteri in affitto, procreazione assistita, ripetuti divorzi, gravidanze indesiderate, padri transessuali, malattie veneree e tanti altri temi che farebbero storcere il naso ai ben pensanti. Friends ci ha insegnato a riderci sopra con grazia perché ci ha insegnato a vederle come cose che fanno parte della società contemporanea, senza bisogno di doverle affrontare con la pesantezza che all’epoca si attribuiva a questi temi all’interno degli altri prodotti televisivi. Basti pensare a come le stesse questioni venivano affrontate all’interno di drama generazionali come Beverly Hills o Dawson’s Creek.

Punto 3. La normalità di cui sopra è la stessa che poi ci ha fatto entrare in quell’appartamento di New York e ci ha fatto sentire a casa. Pur essendo ambientato nella grande mela, Friends per 10 anni è stato girato in studio a Los Angeles, dove sono stati ricostruiti il Central Perk e i vari appartamenti nei minimi dettagli. E mentre mi chiedo ancora come mai i locali in stile Central Perk a Cagliari abbiano iniziato ad esserci solo qualche anno fa, quando ho rivisto i 236 episodi quest’estate ho notato per la prima volta come ogni dettaglio fosse curato e sembrasse vero, pur componendo una realtà artefatta come può essere quella di uno studio televisivo. Come sempre, in ogni prodotto di successo di ogni business del mondo, sono i dettagli a fare la differenza. Mi spiego meglio: avete mai notato che la lavagnetta sulla porta di casa di Joey e Chendler ha sempre una scritta diversa? E che i fiori nei numerosi vasi di casa di Monica sono sempre nuovi da apparire freschi e appena comprati al Chelsea Market? Che i prodotti nelle dispense degli appartamenti cambiano con gli episodi e che sembra tanto vero il disordine di Joey quanto l’ordine ossessivo-compulsivo di Monica?

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Punto 4. Vabbè, qui andiamo sullo scontato. Senza i suoi protagonisti, difficilmente Friends sarebbe diventato un mito d’oggi. E la dimostrazione lampante non è data tanto dal fatto che siano diventati delle star grazie al telefilm, che fossero veramente amici al di fuori dal set o che fossero sempre tutti sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda i cachet (da 1 milione di dollari a puntata a testa per le ultime stagioni). Ciò che ha reso mito il telefilm è stata proprio la dimensione iconografica che li ha caratterizzati a tal punto da relegarli a quel ruolo per sempre. Chi come me è fanatico della serie ovviamente conosce nomi e dettagli biografici specifici di ognuno degli attori, ma per la maggior parte dei comuni mortali resteranno a vita Monica, Rachel, Phoebe, Ross, Joey e Chandler. Anche a 20 anni dalla prima e a 10 dall’ultima messa in onda.

Punto 5. Sembrerà ancora più scontato, ma il fatto che per 10 anni ci abbia sempre fatto ridere e con maggiore intensità non è un fattore da sottovalutare per capire l’entrata nel mondo del mito. Innanzitutto perché è molto difficile che una serie arrivi alla decima stagione; se quindi è stata riconfermata così a lungo è perché il pubblico ancora non era stanco di quelle dinamiche e di quelle battute. Inoltre, ha saputo rinnovarsi nel proprio repertorio comico e, per quanto certe battute tornino volutamente nelle sceneggiature anche a distanza di anni (es. “Noi avevamo rotto” di Ross, Joey che non sa aprire il cartone del latte, Rachel che piange per tutto, le canzoni di Phoebe, i gusti sessuali del padre di Chandler, i fidanzati sbagliati di Monica), sembra sempre di assistere a nuove gag. E poi a differenza della maggior parte delle serie televisive, Friends ha dimostrato di essere come il buon vino. Più invecchiava, più migliorava in qualità e in successo. Non per nulla alcune delle puntate più esilaranti della serie, a detta della maggior parte dei miei amici fanatici tanto quanto me, sono quella del Turlupinato e quella delle Lezioni di Francese, che si svolgono nelle ultime stagioni.

Punto 6. E qui mi fermo, promesso, anche se potrei continuare a lungo: Friends non ha avuto un’ultima puntata deludente. Il suo finale è semplicemente perfetto. E’ anche lui una quadratura del cerchio. Commovente ma non troppo. Probabile e realistico. Non è tirato con i capelli, non vuole far ridere o piangere a tutti i costi. Ti prende e ti porta via con sé per quegli ultimi 25 minuti per poi riportarti al mondo reale. E’ come leggere l’ultima pagina di un libro che hai amato dall’inizio alla fine e che sai che non dimenticherai mai. Praticamente il contrario della maggior parte dei finali di serie della storia dei telefilm, a conclusione dei quali vorresti solo spaccare lo schermo nero che ti ritrovi davanti.

Ah, un’ultima coincidenza affettiva. Ieri non solo era il ventesimo anniversario dalla prima messa in onda di Friends, era anche il primo anniversario della prima pubblicazione sul mio primo blog, questo. Un motivo in più per sentirmi legata al mio telefilm preferito e per quadrare il cerchio.

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