Lo confesso. Nel 1998 ero anche io una leonardina. Una di quelle adolescenti capaci di andare al cinema 5 volte per vedere Titanic e che – se solo fosse vissuta in una città da anteprima cinematografica – sarebbe stata anche una di quelle ragazze da scena di delirio di massa (pianti, urla, capelli strappati) al passaggio di Leonardo di Caprio.
Sabato pomeriggio mia sorella stava sistemando il mio vecchio (ora suo) armadio e ha trovato una cartellina gialla in cui avevo religiosamente conservato (come se si trattasse di vere e proprie reliquie) giornalini, ritagli di giornale, foto, poster e perfino un album di figurine dedicati all’unico vero mito dei miei 16 anni.
Naturalmente ha subito diffuso con un sms la notizia di tal scoperta a mio marito; e tutta la famiglia (che a casa mia vuol dire circa 10 persone) ha passato il weekend a prendermi in giro. “Ma che belle collezioni di figurine facevi a quell’età!” ” Oh, complimenti per gli investimenti in giornalini! ” “Ma avevi 16 anni o 10?” “Io da piccola non riuscivo a dormire per colpa dei tuoi poster che mi fissavano in camera” “Perchè tu potevi tenere 40 post di Leonardo Di Caprio in camera e i miei poster di animali dovevano stare dentro l’armadio?” “Ma i consigli di questo articolo su come conquistare Leo li hai mai seguiti?” E lì tutti a sbellicarsi dalle risate sul divano del soggiorno.
Ok. Forse avrò speso in giornalini più del 50% delle mie paghette. Forse 40 poster dello stesso attore appesi in camera sono un pò troppi. Forse avere contemporaneamente nella propria libreria la videocassetta in italiano, quella in lingua orginale e il dvd di Titanic più che da collezionisti è da cretini. Però sono numeri che oggi mi aiutano a capire meglio il fenomeno e a contestualizzarlo.
Se oggi avessi 16 anni e fossi ancora un’adolescente soggetta alle influenze dell’industria culturale (qualcuno superficialmente direbbe soggetta e basta) sarei una directioner. Per i pochi fuori dal mondo che non lo sanno le directioner sono le fan del gruppo britannico dei One direction, uscito dall’edizione 2010 dell’ X-Factor inglese e diventati in brevissimo tempo la boyband più famosa e idolatrata del mondo.
L’effetto che i One Direction fanno sulle ragazzine di oggi, sono gli stessi che Leonardo di Caprio faceva sulle ragazzine degli anni Novanta.
In mezzo non c’è stato, che io ricordi, un fenomeno della stessa portata. Lo capisco perchè lo sguardo e l’ossessione di molte directioners che conosco sono gli stessi che avevamo io e le mie amiche leonardine e che non ho visto in tutti questi anni in nessuna generazione di adolescenti.
Il punto di questo post però è dare una spiegazione logica-antropologica al contenuto sacro di quella cartellina gialla, in modo che mia sorella e mio marito possano finalmente darsi e darmi pace.
Oggi qualsiasi directioner in qualsiasi momento della propria giornata, per conoscere ogni battito di ciglia dei propri miti, ha a disposizione:
– un motore di ricerca come google che in 0,17 secondi trova 735.000.000 risultati sull’argomento
– un’ampia pagina di wikipedia in costante aggiornamento, basata su un indice bibliografico attualmente fatto di 76 punti.
– un sito ufficiale dove trovare le date dei tour, news, storia dei ragazzi, gallerie fotografiche, gadegt e merchandising
– un sistema di account ufficiali sui social network che comprende: facebook, twetter, instagram, google plus, pinterest, getglue, soundcloud.
– un canale ufficiale youtube
– notizie fresche su tutte le piattaforme d’informazione internazionali presenti sul web
– un numero imprecisato (ma presumo mostruosamente alto) di siti, pagine facebook e account sui vari social gestiti dai fan
– circa 10.200.000 risultati inserendo “one direction” nello spazio per la ricerca dei video su Youtube.
Tutto questo analizzando i soli new-media e senza considerare i mass-.
Capirete bene, dunque, che ogni directioner può semplicemente accendere il computer o il cellulare e ritrovarsi in zerovirgoladiciasettesecondi nel mondo dei suoi miti, conoscendo ogni dettaglio ufficiale e no, dalla foto al video, dalla biografia al gossip, dai gusti personali al numero dei peli del naso e per di più a costo zero. O al costo della adsl flat che pagano i genitori o di quel GB di traffico compreso nella promozione timyoung (o simile) del proprio iphone, che comunque in genere ricaricano i genitori.
Ai miei tempi, se volevi sapere qualcosa di più su Leo, ma anche solo vederlo in foto ecco quali erano le possibilità:
– andare 5 volte al cinema a vedere “Romeo + Giulietta” o “Titanic”, sotto lo sguardo critico dei tuoi genitori e quello compassionevole del bigliettaio del cinema
– comprare/noleggiare le videocasette e i dvd dei suoi film, prenotandoli con anche due mesi di anticipo.
– farti chiamare dai tuoi genitori ogni volta che veniva fatto un servizio alla fine del telegiornale o durante il Tg2 Costume & Società.
– comprare in edicola tutte le settimane “Cioè”, “Magazine”, “Tutto” e simili (ma solo per le foto e gli articoli su Leonardo; considerate che c’era chi faceva di peggio, tipo comprarli per Kavana o per i fantastici consigli delle rubriche) e tutti i mesi “Ciak” e “La Rivista del Cinematografo”
– comprare i numeri di SpeakUp, quando uscivano i suoi film in lingua originale
– ritagliare dai quotidiani che compravano i tuoi genitori (ovviamente dopo che loro avevano letto tutto il giornale, non prima) tutto ciò in cui Leonardo poteva essere anche solo citato
– riempire il tuo diario di scuola con tutto quello che avevi ritagliato da giornali e giornalini, triplicandone letteralmente il volume
– navigare su internet alla ricerca di qualche informazione. Dico informazione, perchè all’epoca non esistevano mica i siti con le foto. Non c’era nemmeno google (fondato nel 1997, ma in Italia all’epoca si usavano altri motori di ricerca), per cui ti ritrovavi davanti una bella pagina bianca, fuxia, nera, giallo slampionata o celeste paint con una quarantina di righe scritte in times new roman 12. Basta. Stop. La connessione (lenta, e con lenta intendo lentissima) si pagava al minuto e se stavi connesso a internet non potevi usare il telefono fisso. Insomma, non era nè divertente per te nè particolarmente piacevole per i tuoi familiari.
Il contenuto di quella cartelletta gialla è una sorta di capsula del tempo che dopo anni ha raccontato quale era “ai miei tempi” il rapporto tra le gli umili mortali e i miti e come questo avesse ancora il sapore del divismo della Hollywood degli anni d’oro.
Dagli anni ’20 agli anni ’60 l’industria cinematografica hollywoodiana sfornava per il pubblico in delirio ritratti fotografici con autografo dei propri attori: artigianali e illuminanti tavole votive nate per colmare l’abisso che separa chi sta in seduto al buio in sala dalla star che torreggia gigantesca e remota sullo schermo d’argento, perché l’adorante potesse rendere omaggio al suo idolo, alla sua guida spirituale, alla sua icona. Quelle foto rappresentavano l’equivalente dell’immagine sacra popolare: venivano realizzate con parametri innovativi e meccanismi collaudati per indurre al culto del divo, perchè nella sua immagine supremamente idealizzata si potessero identificare milioni di spettatori in tutto il mondo.
Lo stesso Roland Barthes scriveva di Greta Garbo negli anni 50, come dell’ attrice che “apparteneva a quel momento del cinema in cui la sola cattura del viso umano provocava nelle folle il massimo turbamento, in cui ci si perdeva letteralmente in un’immagine umana come in un filtro, in cui il viso costituiva una specie di stato assoluto della carne che non si poteva raggiungere né abbandonare.”
Sono cambiati i tempi e le tecnologie, ma credo che nelle parole di mezzo secolo fa di Barthes ci siano anche le leonardine di ieri e le directioner di oggi. Ai tempi della Garbo la tavola votiva per l’adorazione del mito era una fotografia con autografo, ai tempi di Leonardo di Caprio erano giornalini, album di figurine e poster, ai tempi dei One Direction, siti web, pagine facebook, contenuti multimediali.
Ho iniziato ad appassionarmi al cinema quando mi sono “innamorata” sullo schermo di Leonardo Di Caprio, che tutt’ora è il mio attore preferito. Non lo amo più come allora ovviamente (non sono mai neanche andata a vederlo dal vivo quando abitavo a Roma e lui girava Gangs of New York), ma è un grande attore e lo dimostra il fatto che non abbia mai preso un oscar. Ho avuto una vita normale, delle relazioni più o meno normali e sono arrivata sana di mente ai 30 anni, pur avendo “passato la malattia” dell’idolatria a 15.
Dalla mia passione per il cinema è nata la scelta dei miei studi universitari e da questi la mia società e il filo conduttore di questo blog. Per cui posso serenamente affermare che se non fosse stato per i ritagli conservati in quella cartellina gialla, probabilmente ora non farei il mio lavoro e voi non stareste leggendo questo post.
Non erano solo poster e giornalini. Erano qualcosa di più e, in un certo senso, nel loro piccolo, mi hanno portato dove sono ora.